Era il primo scoglio del girone di ritorno e il Napoli lo ha saltato a pie’ pari, con la scioltezza di uno scugnizzo di Mergellina, che entusiasta se ne va a tuffarsi. A bomba, senza troppe menate stilistiche, nell’acqua e nel tricolore. Gli azzurri hanno risolto la Roma come un facile cruciverba, e lanciato un’altra granata alle loro spalle, al campionato, incrementando il solco che li divide dalle inseguitrici, tra l’altro già intente a ritirarsi visto il grande freddo (a -13 la seconda).
Sembra nemmeno far più notizia l’ennesimo successo, 17esima vittoria sulle 20 gare giocate, ottava di fila in casa, che fa la striscia più lunga di tre punti interni in una singola stagione della competizione dal periodo tra dicembre 1989 e aprile 1990 – (11, in quel caso, e c’era Diego).
Il Napoli vince e non meraviglia. Non meraviglia perché ogni gara ha lo stesso sapore di quei film dei quali intuisci il finale dai primi minuti ma che non puoi fare a meno di guardare, e non lo fa, perché oramai non ha più bisogno del gioco.
C’è stato un Napoli bello, bellissimo. Si fregiava, si piaceva durante l’andata di questa Serie A, era una ragazza che guardava alle sue qualità estetiche come il pregio che l’avrebbe permessa di fare strada. Poi si è fatta donna, ha scoperto che la vera forza sta nella personalità, nella testa, nel cinismo, nella furbizia e in capacità concrete. Gli azzurri oggi vincono senza bisogno di pettinarsi, piuttosto osservano gli altri, aspettano il momento giusto e li fanno fuori. Sono dei sicari lungimiranti.
Mourinho ha preparato una signor partita e la Roma ha giocato una grande gara, dal primo all’ultimo minuto. Ha fatto bene il portoghese a ringraziare i suoi per la prestazione e fa riflettere, dalle sue parole post-gara, quanto sia motivo di onore vantarsi di essere stati coloro che hanno creato più grattacapi ai padroni di casa. Si fa la gara a chi limita meglio gli azzurri. Con loro è certo prenderle, quindi si fa a chi ne prende di meno, a chi gira di più intorno al tavolo per risparmiarsi qualche ceffone.
Ieri il primo lo ha dato Osimhen, autore di un gol capolavoro, d’autore, e non si fa per dire. Al diciassettesimo “ciak, si gira!”: Mario Rui e Kvara dialogano sulla sinistra come se fossero sul divano di casa in una serata tra amici. Il georgiano infila la difesa giallorossa e suggerisce un pallone morbido al nigeriano in aerea. Victor stoppa di petto, aggiusta di coscia e colpisce di collo a volo, mettendo a serio rischio l’incolumità dei polsi di Patricio e della rete. È il leone azzurro, il re dell’area di rigore, ruggisce sulle difese avversarie. Lo confermano anche le statistiche, 14 gol nelle prime 20 partite stagionali in azzurro le aveva messe a referto solo Luis Vinicio (1955/56): o’ lione.
Nel mezzo una bella gara, combattuta, maschia ma corretta, riaperta da El Shaarawy al 75esimo, che ha premiato la scelta di Mou di avvicendarlo a Spinazzola, e approfittato di una dormita di Lozano in copertura. Ma non era una di quella serate lì. A rimettere le cose a posto ci ha pensato il Cholito entrato pochi minuti or sono. L’argentino, bello di notte, ha sfruttato un errore di Smalling e ha piazzato tutto sotto il set a giro: pallone, partita e campionato.
Dalle parti di Hollywood si dice “The End” e se la pellicola è venuta bene si ride e ci si abbraccia. De Laurentiis lo sa bene ed è proprio quello che ha fatto in tribuna, dispensando sorrisi e soddisfazione. Il film è finito, andate in pace. Il copione del campionato è già stato recitato dal Napoli. L’unico vero impegno, adesso, sarà aspettare la notte degli Oscar.
Carlo Iacono, direttore dello ‘Sport del Sud’