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Il Napoli è l’Ali del pallone: sembra danzare, ma poi ti avvolge e strozza. Ora si gioca per la storia

Rilevanti

16 Marzo 2023

Ansia, eccitazione, mistero, fierezza, entusiasmo. Sono solo i sentimenti intensi, veri, potenti, che caratterizzano le prime volte. Sono le emozioni che fanno fremere un popolo intero, dei ragazzi impavidi, un uomo forte che sta finalmente rendendo il suo destino tale. Il Napoli accede per la prima volta nella storia ai quarti di Champions League ed è un successo che si va ad imprimere a carattere cubitali sull’identità del club. Da oggi si è qualcosa in più.

Prima di cucirsi il tricolore al petto, gli azzurri della gestione De Laurentiis raggiungono un’altra dimensione, quella delle migliori 8 d’Europa. È una realtà sudata, conquistata con programmazione e lavoro, visione e tecnica, col collettivo, senza dare alcun merito alla fortuna o ad un Dio. È stata la mano del Napoli, tutto. Ed è una mano giovane, sollevata da pensieri saggi, incoscienti in campo, giudiziosi fuori. È nella diversità che trovi la bellezza e la forza.

L’estetica e la potenza che ti permettono di asfaltare i campioni iridati della piccola Europa con un cinque a zero complessivo, manita composita. I tre tra le mura del Maradona portano due volte il nome dell’Haaland partenopeo: Osimhen. È un paragone che regge in scala quello tra il norvegese e il nigeriano, hanno la stessa fame di gol, la stessa voglia di lasciare un segno, la stessa caratteristica atmosferica, la stessa capacità di indirizzare gli umori dei compagni. Forse l’azzurro è semplicemente più umano.

Un umano dell’ultima specie, dai preistorici curvi, ad Air Victor che va nell’alto dei cieli, a due metri e trenta di altezza per fare l’uno a zero di testa alla fine del primo tempo. Il pallone lo recupera, come al solito, il guardiano della galassia Lobotka, lo cede a Politano che crossa subito di destro, in mezzo all’area c’è lui (o in mezzo all’aria), Osimhen in volo, tira al piattello, pull, spara Trapp, il tedesco (gran portiere) non può arrivarci.

Raddoppierà, chiudendo i giochi da lui aperti, ad inizio ripresa, con un tocco facile sotto porta, mettendo il giusto sigillo ad un’azione cominciata dai piedi di Kvaratskelia, proseguita da Politano, prima, e Di Lorenzo, poi. Il tris lo cala poco dopo Zielinski su rigore, procurato da sé, a coronamento di una prestazione finalmente all’altezza del suo talento troppo spesso ad intermittenza. L’eleganza con la quale il polacco si è liberato di un uomo nel primo tempo, avviando poi una transizione conclusasi quasi con la rete, è da manuale e da desiderosi: ma la poesia di Piotr è transeunte.

La partita per gli azzurri è relativamente semplice, considerando il palcoscenico e il soddisfacente risultato dell’andata. Difficilmente chi è sazio ha più fame di chi non ha toccato nemmeno un crauto. Glasner alla sua routine ha rinunciato, il gegen-pressing e l’intensità, sono armi casalinghe. A Napoli rispolvera la difesa e contropiede d’antan, o d’andata. Crea qualche folata e poco più. Meret scoprirà solo oggi se a parare sente ancora fastidio al polso.

Il Napoli è allo stesso tempo imperturbabile e vibrante. Gestisce e punge, è l’Ali del pallone, sembra danzare, ma poi ti avvolge e strozza. Cambia registro e musica, come se fosse diretto by Erry. Avvolge gli avversari ancora, come un nastro, per continuare a sentire il motivetto Champions, quell’urlo che motiva. Accede ai quarti con le mani pulite e la consapevolezza di essere quella da evitare, come una bella ragazza che può rovinarti la vita. Guardiola dice che non ce n’è con lei. È un parac…o, ma sotto, sotto. Soffrirà chiunque se la ritroverà davanti. E chissà se davanti, alla fine, non ci finirà di diritto. Fare la storia è nel dna di questa squadra, e la storia è scritta dai vincitori.

Carlo Iacono, direttore de ‘Lo Sport del Sud’


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