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Napoli, lo Scudetto è già cucito. Mancano 4 vittorie: arriveranno a folle

Sport

8 Aprile 2023

“Pensavo fosse amore invece… era un calesse”, recita il titolo di un magnifico film di Troisi. “Pensavo fosse una buca invece… era una voragine”, si starà raccontando tra sé e sé Spalletti, rispondendosi al quesito sollevato da lui stesso dopo la debacle contro il Milan.

Una sconfitta tanto umiliante, una scarica di pallonate, chiedeva al Napoli una reazione, bruta, risentita, secca. Una prestazione non ordinaria. A Lecce non c’è stata. Gli azzurri hanno affrontato la gara manifestando la nostalgia delle loro versioni migliori, quelle alle quali aspirano, ma delle quali non sono all’altezza.

Voragine e non buca, dicevamo, perché lo 0-4 rimediato dai rossoneri non è stato un incidente di percorso, ma probabilmente l’inizio di un percorso diverso, sofferto, e poi gioioso comunque sul finale.

Il Napoli è in debito fisicamente. Ci si aspettava che la preparazione turca avesse i suoi effetti alla distanza, forse l’abbiamo stimata tutti male. È stato fatto un lavoro sul breve, per prendere quanto più vantaggio possibile dalle avversarie che continuano a farsi la guerra da sole. A Lecce, si è poi manifestata con maggiore intensità una stanchezza mentale insanabile. Si è andati troppo forte per troppo tempo, e anche se questi ragazzi hanno mostrato una mentalità stra-vincente, non hanno vinto nulla. Ora il traguardo è a pochi metri, il braccino è più che comprensibile.

Restano l’umiltà e il sacrificio, col Milan erano mancate, e a questo punto della stagione possono più che bastare. Il Napoli ha lottato, brutto, sporco e cattivo. Ha vinto soffrendo, baciato dalla fortuna degli audaci. Il Lecce l’ha messo in difficoltà. I salentini venivano da cinque sconfitte consecutive ma hanno rimesso in mostra quella verve offensiva che tanto bene faceva sperare ad inizio stagione. Una pressione altissima e ben organizzata, una fase difensiva reattiva.

Il Lecce si è fatto vedere praticamente subito dalle parti di Meret. La rete del Napoli è arrivata nel bel mezzo del nulla cosmico calcistico partenopeo: alla prima discesa. Sugli sviluppi di un’azione offensiva, Anguissa ha allargato su Kim in posizione di ala destra, il coreano ha crossato in mezzo, trovando capitan Di Lorenzo che ha incornato da vecchio numero 9 di provincia: prepotenza, forza e ignoranza.

Lo svantaggio ha arretrato i padroni di casa, ma gli azzurri non avevano le forze di chiuderla, crogiolavano. Ad inizio ripresa il pareggio del Lecce. Traversa di testa di Cessay, la palla ritorna in aerea sui piedi di Di Francesco, che in mischia ha il tempo di accendersi anche una sigaretta se vuole: stoppa, si gira e tira, palla sotto le gambe di Rrahmani e rete.

Il nuovo vantaggio azzurro arriva dal cielo, da un Falcone: il portiere giallorosso pasticcia insieme al compagno di reparto Gallo, quest’ultimo appoggia indietro di coscia difendendo un traversone facile, l’estremo difensore non comprende le intenzioni, uccella la presa, la fa finire dentro. È un’incomprensione difensiva brutta, che ci regala l’immagine più bella della serata: gli abbracci dei giocatori del Napoli, emotivamente provati.

Era una partita davvero complicata, sia sul piano atletico che su quello mentale. L’assenza di Osimhen si sente maledettamente. Si poteva fare a meno del nigeriano quando la squadra andava a mille, non oggi, che non ne ha e tutto quel campo e quegli spazi non riesce a prenderseli con la velocità del possesso. Ma non è solo la mancanza del nigeriano, è semplicemente finita la benzina. È il conto di una stagione vissuta a ritmi alieni, una stagione straordinaria e storica.

Il Napoli è finito, ma lo è anche il campionato. Restano 4 vittorie allo scudetto, arriveranno a folle. Che si cucia il tricolore, tutto il resto è noia.

Carlo Iacono, direttore ‘Sport del Sud’


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